Corrispondenti Vari - Piero Delfino Pesce |
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Cartoline postali di Roberto Marvasi a Piero Delfino Pesce Negli anni napoletani
Piero Delfino Pesce – grazie alla mediazione
di Niccolò va Westerhout – diventa amico di Roberto Marvasi
(1863 – 1955), un raffinato intellettuale che in seguito fonderà e
dirigerà la «Scintilla». Su questa rivista scriverà alcuni
articoli in cui denuncerà i legami fra camorra e politica e
fra camorra e polizia. Il tema della collusione fra la delinquenza
organizzata e lo Stato è, inoltre, presente nel saggio Malavita
contro malavita, che Marvasi pubblicherà, nel 1928, a Marsiglia,
dove si è rifugiato per sfuggire alle persecuzioni fasciste.
Si tratta di un opuscoletto che raccoglie una serie di conferenze che
egli tenne presso la Sezione del PRI di Marsiglia sul tema della diffusione
della criminalità nel Meridione d’Italia negli anni immediatamente
successivi alla repressione del Brigantaggio e sull’uso politico
che i governi post-unitari fecero di camorristi, mafiosi e delinquenti
vari. E’ questo un approccio di straordinaria attualità poiché le
sue tesi hanno trovato una ennesima conferma negli accadimenti della
nostra storia recente. Questa amicizia continuerà nel tempo
ed è testimoniata dalle lettere che Marvasi inviò a Pesce
nel corso del 1922. Dopo la Liberazione Marvasi ritornerà in
Italia. Qui riprende a pubblicare la «Scintilla».
Cartolina postale di Francesco
Meriano a Piero Delfino Pesce
L’apertura di credito da parte di «Humanitas» nei
confronti dell’estetica futurista è presente, in particolare,
negli articoli del poeta Francesco Meriano, il quale iniziò la
sua intensa collaborazione con la rivista di Pesce nel 1913, quando
aveva appena diciassette anni. Di fatto Meriano, che continuerà a
scrivere sulla Gazzetta di Pesce fino al 1918, abbraccia fin dalla
giovinezza il credo futurista al quale aderisce formalmente con l’opera
del 1916 Equatore notturno.
Cartolina postale di Salvatore Quasimodo a Piero Delfino Pesce La rivista di Pesce manifestò una
notevole disponibilità nell’accogliere le segnalazioni
delle voci poetiche più promettenti, come avvenne nel caso di
Salvatore Quasimodo. Nel maggio del 1917, Francesco Carrozza segnalò lo
sconosciuto modicano con queste parole: «Oggi mi è caro
segnalare un giovane amico di sedici anni, che scrive come molti non
scrivono a venti anni: Salvatore Quasimodo». Negli anni successivi,
Quasimodo pubblicherà su «Humanitas» altre poesie
e, nel luglio 1921, un’interessante lettera aperta a Luciano
Nicastro, intitolata Io difendo la mia terra, in cui esorta
l’amico a continuare il suo impegno: «Valorizzare la Sicilia
intellettuale! Ecco il sogno che bisogna svegliare nel sole, con fede
mistica senza essere soverchiamente contemplativi». Sempre a
proposito di Quasimodo la Gazzetta di Pesce – in relazione alla
campagna a favore dell’annessione della Dalmazia all’Italia – segnala
un comizio tenuto dal poeta modicano a Messina*.
Cartolina postale di Tonino Spazzoli a Piero Delfino Pesce Fra i miliziani di d’Annunzio a Fiume, troviamo uomini che avranno destini politici diversi. Mentre un giovane repubblicano come Ettore Muti aderirà in seguito al fascismo, un altro giovane repubblicano come Tonino Spazzoli – futura medaglia d’oro della Resistenza! – non rinnegherà i suoi ideali mazziniani e verrà ucciso dai fascisti nel corso del 1944. Quest’ultimo era un assiduo lettore di «Humanitas» e, insieme ai legionari e agli arditi di Forlì, era un ammiratore della figura di Pesce. Insieme a molti mazziniani, Spazzoli guardò con simpatia al movimento fascista in quanto nel programma di Sansepolcro veniva rivendicato il modello istituzionale della Repubblica. Tale vicinanza è testimoniata dal fatto che il servizio d’ordine del 21 marzo 1919 a Milano in Piazza Sansepolcro – in occasione della fondazione dei Fasci di combattimento – era composto proprio dai repubblicani di Forlì. Tuttavia Spazzoli nel 1920-21 – allo stesso modo di Pesce e di altri repubblicani – prese subito le distanze dal movimento fascista, quando si accorse che Mussolini aveva tradito le iniziali istanze repubblicane e democratiche presenti nel programma di Piazza Sansepolcro, assumendo posizioni filo-monarchiche e comunque reazionarie e clericali. Dopo l’avvento del fascismo al potere, Spazzoli continuò a frequentare alcuni amici fascisti come Ettore Muti e Leandro Arpinati.
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